
Cosa vuol dire spam e come evitarlo nelle campagne email
Per capire cosa vuol dire spam è necessaria un’accurata ricostruzione storica: forse non ci crederai ma tutto è cominciato con uno sketch dei Monty Pyhton!
Per aiutarti a capire al meglio cosa vuol dire spam – e per suggerirti come evitare di farlo nelle le tue campagne email – è prima necessario raccontarti qualcosa sul significato della parola. E per farlo, è meglio cominciare dalle origini.
Il termine sembra essere nato nel 1994, quando uno studio di avvocati di Phoenix inviò una email promozionale su gruppi di discussione USENET. Gli utenti che ricevettero questa email cominciarono ad etichettarla con il termine “spam”, citando un famoso sketch dei Monty Phyton andato in onda più di 20 anni prima.
Da allora, il termine si è usato principalmente nel mondo dell’Email Marketing, anche se può essere abbinato a qualunque forma di messaggistica.
Cosa vuol dire spam?
Negli anni, moltissimi players hanno cercato di definire esattamente cosa vuol dire spam.
Ovviamente, a seconda del punto di vista di chi dà la risposta, le cose possono cambiare molto!
Cosa vuol dire spam per i governi mondiali?
Il primo governo a cercare di normare il fenomeno, stabilendo il confine tra campagne email promozionali e spam, fu quello degli Stati Uniti. Nel 2003 nacque il CAN-SPAM ACT, una norma tutt’ora in vigore alla quale deve fare riferimento il mercato americano dell’advertising. Questo atto rispose in maniera piuttosto semplicistica al problema, attirando sin da subito numerose contestazioni da parte dell’opinione pubblica.
In breve, si cercò di rispondere alla famosa domanda “Cosa vuol dire spam?” prevedendo una serie di direttive per il mittente della comunicazione:
- Il messaggio non deve essere inviato tramite un open relay
- L’utente deve potersi disiscrivere direttamente dalla comunicazione
- Il comunicato non deve essere inviato a indirizzi email raccolti tramite harvesting
- Non possono essere usati header fasulli
- Deve essere presente almeno una frase
- Il messaggio non deve essere vuoto
- La possibilità di disiscriversi deve essere in fondo del messaggio
Come puoi immaginare, un così semplice set di regole lasciava – e lascia tutt’ora – aperti molti possibili conflitti con la definizione di spam d’uso comune. Infatti, la normativa americana non prevede l’accettazione preventiva da parte del destinatario. Le conseguenze per gli utenti sono evidenti: un’azienda può raccogliere indirizzi con qualunque metodo differente dall’harvesting senza richiedere nessun consenso da parte dell’interessato per l’invio di campagne email.
L’Unione Europea, invece, ha optato per una linea completamente diversa. Anziché rispondere direttamente alla questione del cosa vuol dire spam, il Parlamento Europeo ha elaborato la GDPR, che impone a livello europeo l’obbligatorietà di un consenso informato e preventivo al trattamento dei dati necessario all’invio di qualsivoglia comunicazione.
Cosa vuol dire spam per i player del mondo digital?
Parallelamente allo sviluppo normativo, i soggetti maggiormente interessati dal fenomeno dello spam – come i provider di posta – hanno sviluppato nel tempo metodi differenti per arginare il problema. Sono così nati filtri antispam (principalmente basati sulla tipologia dei contenuti inviati), black list e organizzazioni come SpamHaus, il cui obiettivo è identificare e bloccare gli spammers. Questo ha portato sia alla nascita di nuove definizioni di spam che a standardizzazioni condivise tra i diversi player in gioco, uniti dalla volontà comune di combattere il fastidioso fenomeno.
Ed è appunto SpamHaus, sul proprio sito, ad aver dato un’ottima risposta alla domanda del cosa vuol dire spam ragionando sui contenuti. Partendo dalla distinzione fra Unsolicited Bulk Email (UBE) e Unsolicited Commercial Email (UCE), la no profit dice testualmente: lo spam è un problema di consenso, non di contenuto. Il contenuto, sia esso un buono per un pranzo gratis o uno sconto per un prodotto molto in voga, è irrilevante: ciò che rende il messaggio spam è l’essere stato inviato in maniera massiva e senza un consenso preventivo da parte del ricevente. Questa autoregolamentazione nata in seno a Internet restringe fortemente il campo rispetto alla normativa CAN-SPAM ACT di cui abbia parlato.
All’atto pratico i provider e le associazioni di categoria hanno stabilito che, per quanto la legge permetta ad un’azienda americana di inviare campagne email ai propri clienti senza consenso degli stessi, i clienti hanno tutto il diritto a poterle considerare spam e non volerla ricevere.
Capire in pratica cosa vuol dire spam
Ora che hai ricevuto più di una risposta al quesito iniziale, prova a pensare ad una email che classificheresti come spam. Solitamente, la prima cosa che viene in mente è legata a un contenuto moralmente ambiguo proveniente da un sito quantomeno dubbio. Prova, ora, ad analizzare questo messaggio immaginario rispetto alle varie definizioni:
- Secondo il CAN-SPAM ACT, se questa mail è stata inviata massivamente da un’azienda americana a un elenco di destinatari reperiti senza harvesting, se tecnicamente non contradice nessuno dei requisiti e se prevede un link di disiscrizione, allora non è spam. Viceversa, se il mittente ha raccolto il tuo indirizzo con harvesting, se non ha inserito il link di cancellazione o se ha inviato il contenuto tramite servizi “anonimi”, allora è spam.
- Secondo SpamHaus, se non hai richiesto questa email e questa è stata inviata in migliaia di copie allora è spam. Viceversa, se il messaggio è stato inviato massivamente solamente a chi si è iscritto volontariamente alla newsletter di un sito dubbio, allora non è spam. Così come non è spam un singolo messaggio inviato manualmente da un operatore umano pur senza il consenso.
- Secondo la GDPR, se hai accettato in maniera informata e consapevole di ricevere questa campagna email, allora questa non è spam a prescindere da contenuti e metodi di invio.
Puoi dunque capire come sia difficile darti un’unica definizione di cosa vuol dire spam.
Rimangono aperte ancora molte falle e zone d’ombra tra le varie definizioni e regolamentazioni. In primo luogo, c’è una grande questione insoluta: come capire se l’email è stata richiesta dal destinatario oppure se l’indirizzo dello stesso sia stato raccolto tramite harvesting o altre procedure poco limpide.
La tecnologia a difesa dell’utente: lo “spam percepito”
Ora che hai capito che una risposta tecnica e univoca alla domanda cosa vuol dire spam non c’è, possiamo procedere oltre, capendo come siano i provider stessi ad aiutare l’utente a difendersi dall’invio di campagne email indesiderate e come si sia arrivati alla definizione di “spam percepito”, quella più comunemente usata oggi in rete. Ma andiamo per ordine.
Le spamtraps
Le prime tecnologie sviluppate per arginare il problema dello spam sono state le cosiddette spamtraps. Si tratta di vere e proprie trappole nate per individuare chi raccoglie indirizzi tramite harvesting. Le spamtraps sono indirizzi email perfettamente validi, in grado di ricevere messaggi, ma non utilizzati per alcun fine che non sia individuare chi agisce al di fuori della legalità.
Queste trappole vengono sparse in rete, magari in siti Internet pubblici creati ad hoc dai provider, e vengono monitorate tramite operatori umani o software automatizzati. L’idea è semplice: i vari tool di harvesting, scandagliando la rete in cerca di indirizzi email, prima o poi finiranno su questi siti e preleveranno gli indirizzi email in essi contenuti. Questi indirizzi riceveranno poi comunicazioni: si è certi, così, che il mittente abbia raccolto o con l’harvesting o senza consenso informato i dati dell’utente.
Un secondo tipo di spamtraps, più evoluto e creato direttamente dai provider di posta, prevede l’utilizzo di indirizzi email abbandonati dal proprietario. I provider riattivano questi account e li trasformano in spamtraps. Quando un indirizzo email che era stato “chiuso” da anni riceve un’email vuol dire o che è stato raccolto tramite harvesting oppure che il mittente non gestisce in maniera corretta le proprie liste di contatti, disattivando e aggiornando gli indirizzi che generano bounce.
La SpamCop
Un’altra tecnica nata su Internet per cercare di riempire i buchi lasciati dalle normative, incapaci di dare una definizione di spam inequivocabile, prevede l’utilizzo di una rete collaborativa per individuare lo spam. Da questa idea nasce SpamCop , una rete collaborativa che raccoglie le segnalazioni di chi partecipa al network per identificare i messaggi non graditi, individuarne i mittenti e bloccarne le attività direttamente tramite segnalazione ai provider. Ci sono migliaia di partecipanti che possono segnalare ai sistemi di SpamCop le email che ricevono e che loro considerano come spam: dopo l’analisi, quelle effettivamente classificabili come indesiderate vengono segnalate ai provider, che potranno così prendere provvedimenti verso i clienti sospettati o colpevoli di attività illecite.
Nello stesso modo vengono prodotte delle regole di blocco e dei filtri pubblicati in apposite black list, oltre che plugin per i client di posta che possono filtrare e bloccare le email in ingresso che corrispondono con tali filtri.
L’adozione di questa tecnica permette di superare le varie definizioni legali e di rispondere collettivamente a chi si chiede cosa vuol dire spam: qualsiasi messaggio considerato come non desiderato/fastidioso da un numero congruo di utenti è classificato come spam. Da “spam tecnico”, ovvero legato a una definizione standard, si è passati allo “spam percepito”, cioè collegato alla sensibilità della singola persona.
Cosa vuol dire spam secondo Google
Ora che hai capito cosa vuol dire spam secondo la rete – e quindi secondo i tuoi potenziali utenti – non resta che capire come si comporta nei confronti di questo fenomeno Google, uno dei maggiori provider di posta al mondo. Per capire come ragiona un provider come Google dobbiamo innanzitutto valutare il fenomeno mettendoci nei suoi panni, ovvero quelli di un’azienda che cerca di massimizzare il profitto fornendo una casella postale, Gmail, apparentemente “illimitata” e gratuita per milioni di persone. Cercando di semplificare al massimo, possiamo intuire che i principali strumenti di Google per massimizzare i profitti siano:
- Aumentare gli utenti: più utenti vuol dire più dati, più soggetti per l’advertising e quindi maggiore guadagno dalle Google Ads.
- Ridurre i costi: un minor costo nella gestione di ogni singola casella vuol dire maggior profitto
Partiamo subito da questo secondo punto perché è più facilmente analizzabile. Lo spam ha un costo molto elevato per i provider, poiché ogni messaggio deve essere processato consumando risorse computazionali. La email, infatti, deve essere fatta transitare tramite la rete (costi di banda), deve essere filtrata (costi di hardware e software), deve essere visualizzata nella casella postale dell’utente (costi di hardware e di software) e deve essere conservata su degli storage per poter essere disponibile anche in futuro (costi di hardware). Naturalmente una email è composta da pochi Kb di informazioni da elaborare e conservare, ma moltiplica questi numeri per milioni di utenti che ricevono una campagna email ed otterrai cifre astronomiche.
Per farti un esempio, secondo Talos Intelligence di Cisco, nel solo mese di aprile 2019 ben l’85% delle email passate attraverso i loro filtri era considerabile come spam. In numeri, questo vuol dire che ben 420 miliardi di email – o 20 Terabyte di dati, se preferisci – devono essere processate e salvate senza avere alcuna utilità per l’utente finale.
Dunque, cosa vuol dire spam per un provider come Google?
Principalmente costi, costi enormi. Con tutta probabilità il traffico di spam da gestire è enormemente maggiore rispetto al traffico pulito: immagina che costi può avere in termini di risorse umane e risorse hardware e software tutto questo! Filtrare più efficacemente lo spam prima che consumi risorse si traduce immediatamente in risparmio.
Torniamo, invece, al primo obiettivo, ovvero aumentare gli utenti. Per Google la principale fonte di guadagno che deriva dall’offrire gratuitamente un servizio come Gmail proviene dall’advertising e dai dati raccolti sugli utenti. Come si può aumentare gli utenti di un servizio di posta? Rendendoli felici, o quantomeno non infastiditi nell’utilizzare la loro casella postale. Infatti, uno dei principali fattori di fastidio e disaffezione di un utente di posta è il ricevere continuamente email che lui reputa inutili. Molti clienti delle caselle postali gratuite la cambiano quando cominciano a ricevere troppe email spam o promozionali: cambiare provider è spesso più semplice che cercare di filtrare i contenuti. Google deve assolutamente evitarlo. Questa necessità ha portato il colosso a ridefinire il concetto di spam per perseguire i suoi obiettivi, dando una nuova definizione di cosa vuol dire spam e legandola indissolubilmente alla percezione dell’utente:
Dunque, tutto quello che un utente non è interessato a vedere nella propria posta in arrivo, quando apre il suo client, è spam! Tutto il sistema di Gmail è stato quindi ingegnerizzato in quest’ottica, utilizzando le più recenti tecnologie di Machine Learning e Artificial Intelligence per ovviare al problema. I tecnici di Google hanno quindi progettato un sistema che analizzi le interazioni di ogni singolo utente con la sua casella postale e le email che riceve, astraendo delle regole che vengono utilizzate per decidere se una mail può essere interessante per quell’utente o meno e se potrebbe interessare anche ad altri utenti o meno.
Il ruolo del bottone “Questo è spam”
Il bottone “Questo è spam” è sempre ben visibile nella casella postale Gmail: questo serve a far comunicare l’utente direttamente con Google, in maniera chiara e diretta, e dire al provider “questa email non mi interessata e probabilmente non mi interesseranno neanche le email simili”. Questa funzionalità è più comoda e rapida da usare rispetto al cestinare la email o all’utilizzare il link di disiscrizione.
Tuttavia non è sicuramente l’unico dato preso in considerazione da Gmail: i calcoli sono infatti molto più complessi e non vengono resi noti dal provider. Quel che si può supporre è che qualsiasi azione compiuta su un’email viene analizzata da Google e data in pasto ai suoi sistemi di Machine Learning per generare dei set di regole sia personali per l’utente che globali per tutti gli account. Google continua a migliorare questi sistemi cercando di rendere sempre più felici e fedeli i suoi utenti, perfezionando sempre di più la propria definizione di cosa vuol dire spam. Tienilo a menta la prossima volta che invierai una campagna email!
To conclude, Google does successfully use machine learning technology to filter out the vast majority of spam and other abuse. However, the occasional appearance of spam in our inboxes reveals that there are remaining challenges, particularly in responding rapidly to new campaigns. There are many potential improvements to be made in algorithms for scalable online semi-supervised learning
In estrema sintesi, cosa vuol dire spam?
Dopo questo viaggio nel fenomeno spam e sulla sua definizione nel corso degli anni hai imparato che sempre più verrà individuato come spam tutto quello che non viene considerato interessante o utile per chi lo riceve. Non solo, è sempre più importante gestire costantemente e correttamente tutto il ciclo di vita dei contatti. A partire dall’acquisizione degli stessi e fino a che decideranno di premiarti leggendo le email che ricevono.
Bisogna inoltre prestare sempre più attenzione e cura ai contenuti che vengono inviati nelle campagne email: questi devono corrispondere a ciò che il contatto desidera e che pensava di ricevere quando ti ha richiesto di inviargli le email. Sin dal momento dell’acquisizione del contatto è bene indicargli esattamente che cosa riceverà e poi mantenere la promessa. Ricordiamoci sempre che ogni contatto deve ricevere da parte tua delle email che abbiano informazioni importanti per lui, attenzione, per lui, non per te che le invii!